La settimana scorsa a Bari è successo qualcosa che per più di quarant’anni ho potuto soltanto sognare. Ciò che è accaduto rappresenta per me una tappa fondamentale del lungo viaggio che abbiamo intrapreso alla ricerca della verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini.
Procediamo con ordine. Vado per la prima volta a Bari in aprile, con “La Macchinazione” al Bifest. È un Festival che cresce vertiginosamente, coinvolge tutta la città, è affollato di giovani. Tanti mi chiedono interviste. Fra questi, una ragazza di 19 anni. Il suo nome è Irene Gianeselli. Ci diamo appuntamento in un bar e cominciamo a parlare. Durante la conversazione, dico ad Irene che uno dei principali obiettivi della “Macchinazione” è riuscire a portare Pier Paolo Pasolini nelle scuole italiane facendolo finalmente passare dalla porta principale. Spiego a questa diciannovenne appena uscita da scuola che sogno di poter spazzare via quel marchio d’onta (il frocio ucciso dalla sua smania sessuale) appiccicatogli dai suoi assassini, che non volevano soltanto farlo tacere, ma anche far dimenticare tutto ciò che ha scritto, e tutto ciò che Pasolini rappresentava.
A sua volta, Irene Gianeselli mi confida che non vuole scappare all’estero come tanti suoi coetanei. Vorrebbe restare in Italia per impegnarsi a risollevare culturalmente il paese, ormai sprofondato in una “omologazione peggiore del fascismo” come preconizzava Pier Paolo Pasolini.
Nei mesi successivi, mentre “La Macchinazione” ed io viaggiamo senza sosta in giro per l’Italia, Irene Gianeselli mi scrive quasi ogni giorno. Si è messa in testa di portare me e il film in uno dei più importanti licei di Bari (il Liceo Salvemini) e alla prestigiosa università intitolata ad Aldo Moro, che fu vittima di una macchinazione ancor più complessa e clamorosa di quella che eliminò Pasolini.
In questa sua iniziativa, Irene Gianeselli incontra tanti ostacoli ogni giorno. Le avevo consigliato di rivolgersi all’Agis Scuola, che in teoria aveva dato il suo patrocinio alla diffusione della “Macchinazione” nelle scuole, ma Irene non tarda a scoprire che Agis Scuola non funziona proprio. Poi la ragazza inizia il suo percorso attraverso le sedi scolastiche, registrando inizialmente preoccupazione e diffidenza. Qualcuno le dice che io “sono un personaggio”, cioè un tizio che è bene prendere con le molle prima di aprirgli le porte di un istituto scolastico. Qualcun altro, con il sospettismo tipico dei nostri tempi, mormora che probabilmente io con Pasolini ci sto “facendo i soldi”. Per fortuna, il sospetto è rivolto a me, e non alla produttrice che si è pesantemente indebitata per realizzare il film.
Irene Gianeselli non si dà per vinta. Impegna i suoi diciannovenni piccoli risparmi e crea un’associazione culturale. La chiama “Felici Molti” con intuizione felice davvero, citando “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante. E si inerpica nei tortuosi sentieri della burocrazia per costruire un evento articolato e complesso, che porterà “La Macchinazione” al Liceo Salvemini, all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, al Cineporto, alla libreria Zaum di Bari. La sua determinazione e la freschezza della sua energia la portano piano piano ad aprire piccole crepe che si fanno sempre più grandi nel muro della diffidenza che la circonda. Una dopo l’altra, l’Università, l’Apulia Film Commission, l’Associazione degli Italianisti e il Liceo Salvemini accettano la sua proposta e si lasciano coinvolgere.
Il 5 ottobre arrivo a Bari e vengo letteralmente travolto da un’organizzazione di un’efficienza mostruosa. Nell’arco di tre giorni mi sposto continuamente e trovo ovunque centinaia di studenti e molti insegnanti che sembrano una cosa sola. Una cosa sola tra di loro e nello spirito di questi italiani straordinari che li guardano dall’alto di un grande passato, come Salvemini e Aldo Moro. Io, che ho lasciato la scuola a 14 anni, in un primo momento mi sento come un cane in chiesa. Ma dopo un po’ mi sento a casa. E ripenso alla mia scelta violenta, che non ho mai rinnegato. Penso che se mi fossi trovato, a suo tempo, con questi ragazzi e con questi insegnanti, probabilmente non avrei lasciato la scuola e la mia vita sarebbe stata di conseguenza completamente diversa.
Ma il fatto più sconvolgente accade il 7 ottobre, in un primo tempo all’Università e successivamente al Cineporto. All’Università, mi ritrovo a un tavolo accanto a due professori universitari, Giuseppe Bonifacino e Pasquale Guaragnella, che ripercorrono il lungo e complesso itinerario artistico, antropologico e giornalistico di Pasolini con un acume e una sensibilità che mi lasciano di stucco. Ascolto ogni singola parola che pronunciano con un’attenzione febbrile, e non riesco a trovarne una sbagliata o soltanto inappropriata. Ma davanti a me, seduto nelle prime file, c’è il Professor Emerito Pasquale Voza, che io considero il più intelligente e il più originale studioso di Pasolini in Italia. Lo vedo in carne ed ossa per la prima volta, e mi chiedo cosa gli passi per la testa. Ho appuntamento con lui più tardi, sempre dinanzi agli studenti, al Cineporto di Bari, e mi chiedo con ansia cosa dirà. Sono ancora capace di separare una brillante analisi accademica dell’opera di Pasolini dall’intima opinione sulle cause della sua morte, ma con “La Macchinazione” la faccenda ovviamente si complica e rischia di diventare per forza di cose conflittuale. Quasi tutti gli intellettuali che amano e studiano Pasolini hanno sempre respinto al mittente la tesi dell’omicidio politico fino a coniare i termini “complottismo” e “complottista”.
Al Cineporto, Pasquale Voza arriva animato da un’ansia evidente, stropicciando foglietti di appunti vergati a mano. Sembra più uno studente che un professore. Non so ancora cosa dirà. Penso soltanto che un Professore Emerito che sembra uno studente non può che essere un insegnante straordinario.
Con un affanno commovente, stropicciando i suoi appunti senza mai veramente consultarli, Pasquale Voza esordisce affermando senza preamboli e senza giri di parole di essersi ricreduto dopo aver visto e letto “La Macchinazione”. Il Delitto Pasolini è stato, con ogni probabilità, un delitto politico. Io mi stropiccio gli occhi. Demolire in un attimo, dopo 40 anni, un’idea consolidata, da parte di un illustre cattedratico, è il più alto esempio di onestà intellettuale (parola ultimamente molto usata, ma spesso a sproposito) che io conosca. Vorrei abbracciarlo seduta stante. Mi limito a farlo con le parole, dicendo che questo momento rappresenta per me, senza ombra di dubbio, il momento più bello di questo viaggio intrapreso ormai tre anni or sono. Bello non tanto perché grazie alle sue parole io d’ora in poi io forse sembrerò meno complottista.
Non bello ma bellissimo perché io non mi considero un complottista e non odio, non ho mai odiato tutti coloro che la pensano diversamente da me sul Delitto Pasolini, a condizione che non siano in malafede. Non bellissimo ma sublime, se il gesto straordinario e quasi repentino di questo grande studioso potrà finalmente avvicinare queste due assurde tifoserie, complottisti e anticomplottisti, in nome della comune passione e ammirazione per la vita e l’opera di Pier Paolo Pasolini.
Ancora scombussolato, ripenso a Irene Gianeselli e a ciò che è riuscita, a 19 anni, a far succedere. Così giovane e così colta, così coraggiosa, così determinata, così rigorosa, questa ragazza a Pasolini piacerebbe parecchio. Alla sua età, in un colpo solo, ha già fatto Felici Molti. Ma è solo l’inizio. Aveva ragione Elsa Morante. Questo mondo, per come lo abbiamo ridotto, lo potranno salvare soltanto i ragazzini come lei.
David Grieco per Globalist, 12 ottobre 2016
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